Le manifestazioni dovranno essere filmate

ROMA — Le manifestazioni di
piazza dovranno essere sempre filmate. Il Viminale riscrive le regole
per la gestione dell’ordine pubblico e nella direttiva destinata a
prefetti e questori inserisce una disposizione che non mancherà di
suscitare polemiche. Perché prevede che tutti i partecipanti vengano
ripresi dalle telecamere affidate ai poliziotti per controllare
costantemente lo svolgimento dei cortei o dei sit-in.

La circolare voluta dal ministro dell’Interno Roberto
Maroni dopo le proteste e le preghiere islamiche di chi — a Milano e in
altre città si è schierato con i palestinesi di Gaza — è firmata dal
capo della polizia Antonio Manganelli. Il documento non contiene
divieti specifici che riguardano i luoghi di culto e non obbliga i
promotori a versare una sorta di cauzione per risarcire eventuali danni
provocati, come era stato annunciato la scorsa settimana. Impone invece
la ripresa costante di chi sfila, anche se non si verificano incidenti
o scontri con le forze dell’ordine.

«Diviene particolarmente rilevante
— scrive il prefetto — l’attività di documentazione video- fotografica
assicurata dalla polizia Scientifica che tenga conto, non solo delle
eventuali finalità probatorie ai fini processuali, ma anche delle
fondamentali esigenze di supportare adeguatamente la visione generale
degli accadimenti, anche in vista della idonea fruibilità nella
ricostruzione complessiva delle situazioni processualmente rilevanti».

Un mese fa, inaugurando la scuola per l’ordine pubblico,
Manganelli aveva sottolineato la necessità di «non ripetere gli errori
del passato», riferendosi chiaramente al G8 di Genova del 2001. E
adesso, nella direttiva, evidenzia come gli eventuali divieti di
manifestazione o l’imposizione di limitazioni «vanno calibrate non solo
rispetto ai principi di legge ordinaria e costituzionale, bensì anche
alla oggettiva impossibilità di una mediazione». Il capo della polizia
ribadisce che «i reparti inquadrati, organizzati e addestrati anche per
un’attività di contrasto ad azioni violente o resistenti di masse di
persone, vanno collocati evitando che anche in eventi critici con
elevati profili di rischio per l’ordine pubblico vengano a trovarsi a
contatto ravvicinato e prolungato con gruppi di manifestanti». E che
«l’uso dei mezzi di dissuasione sia considerato rimedio estremo per
fronteggiare situazioni di particolare gravità altrimenti non
gestibili». Evitare il contatto, rimane questa la priorità. Ma
l’obiettivo di chi predispone le misure di prevenzione deve essere
quello di far coincidere esigenze diverse. «È necessario — scrive
Manganelli — creare un sistema di mutuo rispetto tra i protagonisti
delle pubbliche iniziative, nell’intento di mediare in situazioni
conflittuali anche attraverso la gestione negoziata dello spazio
pubblico e la valorizzazione della partnership tra pubblico e privato».

Nessun riferimento esplicito viene fatto alla preghiera davanti al Duomo
di Milano che tante polemiche aveva provocato lo scorso 3 gennaio. Però
il richiamo appare chiaro. Anche perché il prefetto invita i
responsabili dell’ordine pubblico ad avviare «una proficua
interlocuzione con i promotori e gli organizzatori orientata a
realizzare e mantenere forme di efficace negoziazione o di cooperazione
in una prospettiva di bilanciamento tra il pieno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero e l’esigenza di tutela della legalità e
dei diritti della cittadinanza». Non a caso viene sottolineato come «lo
sviluppo dell’attività di negoziazione — condotta sia sul piano
formale, sia su quello informale — condiziona fortemente la situazione
dell’ordine pubblico».

Fonte: Corriere.it

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